Jon Kabat-Zinn: Il maestro dei sensi

Incontro con il fondatore della Mindfulness
di Mariateresa Truncellito

Prestare attenzione è un’attività che facciamo selettivamente e, spesso, a caso: ci capita di non vedere quello che abbiamo davanti agli occhi, di non sentire i suoni, di mangiare senza assaporare il gusto del cibo o di stringere mani senza sapere quali sentimenti ci trasmettono.

Eppure, i nostri sensi sono l’unico mezzo che abbiamo per essere in contatto con il mondo. È questo il tema degli studi di Jon Kabat-Zinn, medico statunitense, fondatore e direttore della Clinica per la riduzione dello stress dell’Università del Massachussetts.

Oltre ad aver condotto molte ricerche sulle interazioni mente-corpo, Kabat-Zinn ha messo a punto tecniche di meditazione consapevole che affondano le radici nella tradizione buddhista, ma che sono semplici e applicabili in qualsiasi contesto. Nella nostra società tutto si muove molto in fretta, tutto è “urgente”.

Di fatto, però, percepiamo un’insoddisfazione perenne, un malessere che chiamiamo stress: per il professore questo stato è conseguenza della nostra “perdita dei sensi”.

Prof. Kabat-Zinn, cosa significa riprendere i sensi?

«Innanzitutto, significa percepire il presente, il qui e ora. Ascoltare i “desideri appena sussurrati del cuore”: la meditazione è un modo per mettersi in ascolto, anche se non sempre è facile trovare anche solo pochi minuti per praticarla regolarmente.

Rimandiamo la pace interiore a “quando le cose andranno meglio”, a quando avremo tutto “sotto controllo”. Ma la pace è in questo istante, se sappiamo imparare a essere pienamente ciò che siamo».

Lei parla anche di  “fitness dei sensi”. Un allenamento in cui anziché muoversi bisogna stare fermi…
«Fitness è raggiungere il massimo delle potenzialità, nel corpo, nello spirito e nella mente. Non c’entra con l’ossessione per la prestanza fisica o  per la magrezza a tutti i costi. A essere fuori allenamento, invece, sono i sensi, come muscoli poco usati».

Ci potrebbe fare un esempio di senso perso?

«Vediamo cose e persone in maniera abituale, “con il pilota automatico”: quante volte percorriamo il tragitto per andare al lavoro senza aver notato, magari, un edificio, pur essendo convinti di conoscere a memoria ogni dettaglio dell’itinerario? Ancora, le mele possono essere rosse, gialle o verdi.

Ma se guardiamo più da vicino, a volte ci sono macchie o zone di altri colori. Lo stesso vale anche nei rapporti con le persone: i nostri figli, per esempio, spesso non li guardiamo sul serio perché “vediamo” solo i nostri pensieri su di loro, influenzati come siamo dalle nostre aspettative o paure».

Non pensa che la perdita dei sensi dipenda anche dal fatto che la vista ha preso il sopravvento sugli altri?

«È così. Ma anche la vista è usata in modo superficiale: giungiamo subito alle conclusioni, perché vediamo quello che abbiamo già deciso di vedere, e non la realtà come è davvero. Perciò spesso le nostre deduzioni sono sbagliate. Ugualmente per gli altri sensi. Come l’udito: è importante ascoltare i suoni, ma anche i silenzi.

Un esercizio di consapevolezza alla portata di tutti è guardare la tv togliendo l’audio: le immagini appaiono subito diverse, perché la nostra osservazione non è condizionata dall’emotività, dall’enfasi della voce di chi sta parlando, dalla musica di fondo. La meditazione è un po’ come guardare una tv senza audio o passare qualche minuto a osservare un televisore spento».

Le nostre reazioni negative agli eventi sono frutto della mancanza di consapevolezza?

«Ogni volta che ci arrabbiamo, impariamo ad arrabbiarci meglio e rinforziamo l’abitudine ad arrabbiarci. La pratica perfeziona. Se siamo inconsapevoli di ogni stato mentale che ci può travolgere, rinforziamo, nel sistema nervoso, quelle reti neuronali su cui si basano le nostre abitudini inconsapevoli.

Ma ogni volta che riusciamo a riconoscere un desiderio come un desiderio, la rabbia come rabbia, un’abitudine come abitudine ne siamo liberati. Non occorre rinunciarvi: riconoscerli per quello che sono è già sufficiente».

C’è un senso “sui generis”: quello del passare del tempo. 
Lo si può rallentare?

«Il tempo rallenta quando siamo in un posto nuovo, in viaggio o in vacanza nella natura. Ogni panorama ci colpisce e aumentano le cose “degne di nota”. Anche per i bambini il tempo è più lento: perché vivono molti eventi notevoli, simili a “pietre miliari”. Con l’età la frequenza di questi eventi diminuisce, il presente sembra vuoto, tutto scorre uguale.

E l’impressione è che il tempo corra. Per rallentarlo si può riempire la vita di esperienze “miliari”: c’è chi fa lunghi viaggi in Paesi esotici, sport estremi o tante cene da gourmet. Oppure si possono rendere più degni di nota i momenti ordinari: l’attimo più piccolo può diventare una pietra miliare, se si è davvero presenti mentre lo si sta vivendo».

Per allenare i sensi, non è meglio spegnerne qualcuno per accenderne altri?

«I nostri sensi funzionano simultaneamente, e l’ideale sarebbe vedere, toccare, sentire, assaporare il mondo con tutto il corpo. Però è vero che se si perde un senso gli altri possono diventare più potenti: basti pensare a grandi musicisti ciechi, come Ray Charles.

Un esercizio facile consiste nello stare all’aperto in una giornata di pioggia e chiudere gli occhi: dopo un po’, il suono delle gocce può delineare un panorama, perché il rumore sull’asfalto è diverso da quello sul prato o sul cancello che divide un giardino dalla strada. Ma per accorgercene dobbiamo farlo consapevolmente, utilizzando il sesto dei nostri sensi: la mente».

Ci sono panorami da scoprire anche per altri sensi?

«Certo: quelli tattili. La pelle è il nostro organo di senso più grande, circa sei metri quadrati, ed è legata alle nostre emozioni. È perciò un magnifico strumento di meditazione: possiamo, per esempio, soffermarci a percepire l’aria.

Ancora, il gusto: se lo assaporiamo con attenzione, anche il più semplice ci fornisce un universo di esperienze sensoriali. Uno dei primi esercizi di meditazione che facciamo alla Clinica dello stress è mangiare un chicco di uva passa, molto lentamente, sentendo ogni sfumatura di gusto e consistenza».

A cosa porta la pratica del “fitness dei sensi”?

«A vivere nel presente. Abbiamo un unico tempo in cui influenzare il nostro futuro: l’adesso».