Il mondo fuori e il mondo dentro


Il mondo fuori e il mondo dentro
di Marco Ferrini (Matsyavatarda)

Secondo l'Ayurveda, l'aria (vayu) e lo spazio (akasha) sono due caratteristiche fondamentali della mente.

Lo spazio (akasha) è necessario per l'apertura mentale, l'aria (vayu) per il movimento; la mente è infatti molto mobile, molto rapida. In questo senso potremmo paragonarla al cielo, un cielo spesso coperto di nubi, che in questa metafora rappresentano i dubbi, le incertezze, gli insuccessi accumulati dall'individuo.

In una condizione di conflittualità interiore, di incoerenza tra le aspirazioni profonde dell'anima e le richieste perentorie dei sensi, la mente si muove rapidamente, bruscamente, oscillando di continuo da un oggetto all'altro, incapace di finalizzarsi in una direzione precisa; il movimento, realtà che ha un suo senso positivo, scade così al livello patologico di mera motilità, ed è di conseguenza causa di esperienze dolorose.

Questo rimbalzare incontrollato, senza coerenza, senza progetto, è ben visibile negli attacchi di ansia, di panico, di angoscia.

La perdita di speranza nella capacità di superare i propri limiti, lo scoraggiamento, sono esperienze che chiudono il cielo mentale. La persona che vive in un ambiente ristretto, fisico o psichico che sia, è infatti generalmente depressa.

Sul piano clinico le depressioni sono modificazioni del campo mentale in senso restrittivo, causate da sbandamenti emotivi che legano sempre più ad identificazioni erronee ed effimere, principale motivo di incatenamento al ciclo di nascite e morti (samsara).

La natura dell'anima invece è felicità, beatitudine, senza sbalzi né discontinuità, per questo non è soggetta né a depressioni né a eccitazioni, entrambi sintomi di inappagamento profondo e di mancanza di armonia nell'individuo.

L'aria, l'acqua, il cibo, sono elementi a noi essenziali perché è di questi elementi che il nostro corpo è costituito.

Siamo incapsulati negli elementi, dice la Bhagavad-gita, XV.7: L'essere vivente nel mondo della vita condizionata è un mio frammento eterno, ma lotta contro i sensi e la mente situati [generati] nella prakriti.

Eppure esiste una via per liberarsi, per sfuggire ai condizionamenti di questa esistenza costretta, poiché anche gli elementi materiali, ben descritti nella filosofia Samkhya, originariamente non sono forza caotica, bensì energia di matrice divina.

Ciò è ben spiegato nella letteratura delle Upanishad, che descrive in più passi, con un linguaggio simbolico e suggestivo, come nell'uomo e in ogni creatura siano presenti quegli stessi elementi che costituiscono l'universo, e come questi elementi siano di origine divina, ciascuno addirittura presieduto da una particolare manifestazione del Divino:
"Le divinità, una volta generate, si precipitarono nel grande oceano [della vita] …[il Creatore] portò loro un uomo […] quindi disse loro: "Entrate ognuna nella sua dimora!". 
Il fuoco, fattosi parola, penetrò nella bocca; il vento, fattosi respiro, penetrò nelle narici, il sole, fattosi vista, penetrò negli occhi; i punti cardinali, fattisi udito, penetrarono nelle orecchie; le erbe e le piante, fattesi peli, penetrarono nella pelle; la luna, fattasi pensiero, penetrò nel cuore; la morte, fattasi apana, penetrò nell'ombelico; le acque, fattesi seme, penetrarono nel membro virile"…
Nelle persone più dotate di visione, più libere dagli attaccamenti e dai condizionamenti, movimento e rapidità della mente si associano alla coerenza tra pensiero, parola e azione. C'è un piano, un progetto cui partecipano anche gli elementi di questa cosiddetta prigione, visibile nell'ordine che mantiene ogni componente di questa dimensione di realtà.

L'evasione è a portata di mano se il disegno divino della realtà che ci circonda viene svelato; ciò può avvenire soltanto grazie allo sviluppo della consapevolezza e ad una visione elevata, che conducono verso la liberazione della Vita dalla crisalide della materia.

Tale liberazione del sé spirituale, atman, viene tradizionalmente definita con il termine moksha, che corrisponde al kaivalya degli Yoga-sutra.

La vista e il respiro sono entrambi collegati alla mente; esiste una visualizzazione interiore più elevata, ma c'è anche una visualizzazione esteriore che aiuta quella interiore.

La visione di bei paesaggi naturali, ad esempio, aiuta ad espandere la mente, soprattutto se accompagnata da un impegno costante nella ricerca del sé e dalla compagnia di persone evolute.

Simili visioni hanno da sempre costituito una componente importante nella vita di molti spiritualisti, soprattutto yogi, in quanto i luoghi di bellezza naturale agevolano l' espandersi della mente e i moti lieti dell'animo.

Visioni, attività e compagnie profondamente oneste e sincere portano alla guarigione, anche da gravi disturbi della personalità.

I rimedi allopatici hanno effetti limitati e dovrebbero essere utilizzati solo in casi estremi, perché la cura funziona meglio se è attiva, vale a dire se la persona viene stimolata a lavorare su di sé, sugli atteggiamenti e sulle abitudini scorrette che hanno generato la malattia, a reimpostare consapevolmente la propria vita.

Questo atteggiamento crea le giuste condizioni per dialogare, comprendere verità e trovare soluzioni ai problemi.

Molte delle problematiche e delle cosiddette necessità di cui facciamo esperienza nella nostra società sono inesistenti, fantomatiche, ma le influenze della collettività, della magnetizzante comunicazione dei media, delle cattive compagnie, le rendono più reali di quanto non siano.

E' proprio per tentare di soddisfare bisogni irreali e quindi artificiali che gli individui affrontano molte frustrazioni e sofferenze.
La fede (nella cura, in sé stessi, nel prossimo, nell'ordine naturale che assicura armonia al creato, nel Divino) rafforza la guarigione.
Per sviluppare fede è necessario conoscere la scienza della vita, frequentare persone che siano ben indirizzate sul sentiero della guarigione ed ascoltare da loro esperienze di una differente dimensione di realtà.
La guarigione dai disturbi della personalità può avvenire più facilmente in un'ottica olistica, che armonizzi i piani fisico, psicologico, sociale, economico e relazionale con la visione spirituale.

La qualità fondamentale da sviluppare è l'equilibrio, strumento di superamento degli opposti, quindi di trascendenza.
Nella Bhagavad-gita, Krishna parla dei condizionamenti provocati dalle tre influenze della natura materiale: ignoranza, passione e virtù. Le persone non vengono condizionate soltanto da tamas, che produce inerzia e paralizza la coscienza, né solo da rajas, che genera l'azione caotica e agitata ma, paradossalmente, anche da sattva; questa situazione si manifesta nell'attaccamento al senso di benessere che, se non trasceso e quindi portato al suo stato di effettiva purezza attraverso la bhakti, può anch'esso risultare un ostacolo sulla via della perfezione.
Brutto e bello, attrazione (raga) e repulsione (dvesha) sono coppie di opposti (dvandva), cause di condizionamento e infine di dolore. L'obiettivo della realizzazione spirituale è quello di superare ogni coppia di opposti, per poter contemplare anche la bellezza e il benessere in maniera distaccata.
Il piacere, se incanalato verso la realizzazione spirituale, non costituisce una diminuzione della disciplina (sadhana) o della rigorosa coerenza (tapas) anzi, contribuisce ad espandere la coscienza.
Nel decimo capitolo della Bhagavad-gita il Divino viene descritto anche in termini di bellezze naturali; Krishna afferma, ad esempio, di essere lo splendore del sole e della luna, ed anche l'Himalaya, oppure il mare.

Più che indicazioni geografico-culturali, si tratta di categorie della nostra esperienza nel mondo sensibile che si impongono per presenza e magnificenza, rappresentando dunque l'aspetto eccelso del fenomenico. Ecco allora che il Divino assume caratteristiche di onnipresenza, non in senso panteistico, quanto piuttosto come radice unica e spirituale di ogni manifestazione.

Contemplare paesaggi naturali con un elevato livello di coscienza equivale ad ammirare ed apprezzare ovunque la potenza e la magnificenza di Dio, interno ed esterno ad ogni realtà oggettiva. Una della sezioni dei Veda è titolata Upasana kanda, 'Sezione della Contemplazione'.

Per contemplazione tradizionalmente s'intende la capacità di cogliere l'intima relazione di ogni parte col Tutto e di scorgere ovunque la comune radice spirituale, fondamento e sostegno degli esseri e del creato: l'anima suprema, Paramatma. Questo universo, questo pianeta, questi corpi, vivono perché c'è Paramatma, perché c'è un'espansione del Divino in ciascuno di noi, che è anche ciascuno di noi.

Anche la contemplazione, come ogni attività di questo mondo, avviene su diversi livelli di coscienza. La contemplazione di un'alba o di un tramonto sono motivo di gioia così intensa, che amplifica il nostro desiderio di perfezione e di realizzazione spirituale. Nel RigVeda ad esempio, troviamo un emozionante inno al sole; il sole splendente che sorge e inonda tutto di luce è uno spettacolo che ci ricollega al mondo spirituale. L'autentica spiritualità, ben lungi dall'essere una fuga dal mondo, non può prescindere dalla contemplazione, dall'ammirazione del fenomenico come opera del Creatore.

L'importante è acquisire e mantenere coscienza della natura effimera della dimensione terrena. Anche nei luoghi più meravigliosi di questo mondo, le persone continuano ad invecchiare, ad ammalarsi, a morire e a rinascere.
Nascita (janma), morte (mrityu), malattia (vyadi) e vecchiaia (jara) rappresentano, sul cammino indicato nella letteratura Vedica, le sbarre da spezzare per evadere dalla prigione.
I saggi della Tradizione hanno visto in queste quattro condizioni della vita incarnata mali da cui guarire.

Queste quattro condizioni sono universali; nella natura fenomenica esistono comunque e dovunque; quindi il vero problema da risolvere è svincolarsi dall'identificazione con il corpo.
La guarigione risiede nella capacità di gestire
le risorse a nostra disposizione e le forze che le strutturano. 
Queste energie (guna), mattoni da costruzione di questa dimensione di realtà, costituiscono la qualità dell'atto; sono tre e tradizionalmente vengono indicate come ignoranza (tamoguna), passione (rajoguna) e virtù (sattvaguna).

Il piano divino per la liberazione dell'essere passa attraverso l'elevazione dalla letargia alla leggerezza, dall'inazione alla progettualità.

La predominanza di tamoguna causa malattia e vecchiaia precoce e quindi una catena di nascite e morti molto ravvicinate.

Sattvaguna, invece, è quella modalità di vita in cui ci si ammala poco, s'invecchia meno rapidamente e ci si avvicina alla comprensione dello scopo dell'esistenza. Ecco perché i saggi, i rishi vedici, gli acarya, consigliano la virtù come modalità di vita, come percorso, non per goderne fine a sé stessa, in quanto come abbiamo visto ciò farebbe ristagnare l'individuo, ma come modalità per poter trarre il meglio da ogni esperienza.

Questo mondo è allo stesso tempo affascinante e crudele, capace di produrre visioni estatiche e brividi di terrore.

La reazione dipende dal punto di vista e dallo stato d'animo profondo dell'osservatore. Non possiamo evitare di celebrare le glorie dell'Autore di questa magnifica opera d'arte che è il creato; concentrandosi con gratitudine sul Creatore e su quanto c'è di bello, di splendido nel mondo, è legittimo un moto ascensionale dell'animo.

E' ammirevole e doveroso far qualcosa per coloro che soffrono e per questo mondo che sta ammalandosi a causa dello sviluppo di una civiltà per certi aspetti nevrotica, ma è anche vero che voler fare qualcosa che va al di là delle nostre capacità d'intervento, di solito deprime, e la depressione, com'è noto, non è certamente una cura.

La soluzione consiste dunque nell'apprendere il senso della vita, le sue finalità e di conseguenza impostare la propria esistenza in modo da guadagnare forza e ispirazione; una volta interiormente rafforzati ed ispirati, saremo anche capaci di investire questa energia nella soluzione dei nostri problemi e, con gioia e speranza, affrontare quelli del mondo.





Intervista a Raphael

Tradizione primordiale, approccio alla non dualità

Raphael, il fondatore dell' Ashram Vidya è un Advaitin tradizionale che segue la "via senza supporto" l'Asparsa yoga. Dopo 35 anni d'insegnamento scritto e orale, ora vive ritirato nel silenzio di un eremitaggio sui contrafforti dei monti Appennini, circondato da alcuni residenti fissi.

Autore di numerose opere che trattano la Filosofia Perenne, non fa opera d'erudizione, ma tenta di aprirci alla via della Conoscenza attraverso l'identità, che conduce alla Metanoia e al Nirguna Brahman, dimensione dell' "Uno-senza-secondo", che sfugge ad ogni concetto, ma la cui realtà s' intuisce attraverso il cuore. La profonda comprensione che possiede Raphael delle differenti branche della Tradizione, ci offre vaste prospettive rischiarate da folgoranti paralleli tra il pensiero greco, ebraico e vedantico. Il suo molto grande rigore filosofico, così prezioso in questo fine secolo, aperto a tutti i sincretismi dottrinari immaginabili, si esercita attraverso una grande umiltà e compassione. Soprattutto, dividere un momento di Silenzio accanto a lui è forse, ben al di là delle parole che padroneggia con tanta cordialità, il gioiello più prezioso che sia dato ricevere.

Gli intervistatori: Anne e Darrel Newberg (3ème Millénaire n. 64-65 - Traduzione Luciana Scalabrini)

Intervista:

 D: Che cosa cercava nella sua vita? 

R: Che cosa cercavo? Fortunatamente in questa incarnazione non cercavo assolutamente nulla. Evidentemente avevo cercato e mirato a cose in passate incarnazioni! (ridendo). Possiamo dire, quindi, che in questa particolare incarnazione ciò che possiamo definire uno “stato di coscienza” è apparso su questo piano unicamente per essere svelato in totale innocenza. 

Questo stato di coscienza è venuto soprattutto per svelare i Grandi Misteri o Paravidya secondo il termine tradizionale sanscrito. E’ uno stato di coscienza che è venuto per svelare ciò che può essere definito come l’ultima Verità. Ogni tanto deve esserci un essere che perviene a questa dimensione per perpetuare, per continuare la Tradizione, altrimenti se non ne rimanesse traccia la Tradizione potrebbe persino non esistere più. 

 Ci sono alcuni stati di coscienza che sono pervenuti a questa dimensione perché il loro compito, possiamo dire, è quello dell’insegnamento e perciò in termini orientali potremmo dire che sono dei guru. La mia posizione è un po’ diversa, non sono venuto qui per avere discepoli, in quanto tali, se una persona viene da me per essere guidata, non c’è problema, lo farò, ma questo non è il principale scopo di questa particolare incarnazione di coscienza. 

Il Dharma di Raphael è quello di permettere che persone come Samkara, Gaudapada, Platone, Plotino, Parmenide possano parlare nuovamente ed è in loro nome che questo particolare stato di coscienza è disceso su questa dimensione. Quindi, l’immagine di Raphael è messa da parte in modo che questa gente, questi altri stati di coscienza che abbiamo menzionato possano parlare. 

Ci sono alcuni guru che vengono su questo piano, il loro scopo è quello dell’insegnamento, essi possono persino creare un asram e poi scomparire. Tutto finisce lì. Invece, possiamo dire, il mio ruolo non è quello di creare un asram con il proprio nome, ma piuttosto di perpetuare questa Conoscenza che specialmente in Occidente è qualcosa che è carente. Quanto al mio corpo fisico, persino quando ero estremamente giovane, quando avevo circa 20 anni già sapevo esattamente che cosa dovevo fare. Quindi, in questa particolare incarnazione, la persona che incarna Raphael non aveva nessun problema di sadhana, di comprendere certi insegnamenti, di ascensione e di realizzazione perché tutto ciò era stato fatto precedentemente.

D: Quello che lei chiama uno ”stato di coscienza” si riferisce a una persona? 

R: Ogni cosa in questo mondo è Coscienza e uno stato di coscienza è un modo per svelare le possibilità che esistono dentro questa Coscienza. Infatti Raphael è uno stato di coscienza ma anche voi siete uno stato di coscienza che deve essere svelato. 

D: Ogni cosa è Coscienza, ma in questa unica Coscienza ci sono diversi movimenti, è questa una buona spiegazione? 

R: Potremmo dire che esiste una sola o unica Coscienza che è espressa mediante i guna che sono le qualità e le qualificazioni e a secondo della perfezione dei guna la Coscienza ha una maggiore o minore possibilità di esprimersi. In un albero o in un animale la Coscienza non ha alcuna possibilità di esprimersi. Ciò che limita questi stati di coscienza o consapevolezza è la forma. La Realizzazione è la possibilità di rompere tutte queste limitazioni, queste circonferenze che limitano la Coscienza, così da permetterle di essere svelata in tutta la sua maestà.

La Coscienza esiste ovunque, anche nel regno minerale, nell’essere umano, naturalmente, ha una maggiore possibilità di espressione. In un Deva, e cioè in un essere di livello superiore, la Coscienza si svela attraverso l’Ananda-mayakosa e perciò ha possibilità molto più grandi. Secondo il Vedanta noi abbiamo cinque veicoli o strumenti di contatto con il resto del mondo e questi vanno dal livello del corpo grossolano al più sottile che è quello dell’Ananda o beatitudine. Questo è esattamente quello che si pensava nell’antica Grecia e nell’antico Egitto. Nulla è cambiato. E’ stato dato solo un nome diverso a questi stati ma la conoscenza di base è esattamente la stessa. 

D: E’ mai stato in India? 

R: No, non sono mai stato in India. L’ambasciatore dell’India a Roma, Apa Pant, spesso mi ha invitato ad andare in India. Ogni volta ho detto “andrò là prima o poi, un giorno ci andrò”. Uno dei nostri fratelli sta attualmente in India, è andato a Samkaramaths e sarà di ritorno alla fine del mese. Ci sono cinque o sei persone che sono andate in India per me e avranno un bel pò di materiale da riportare qui. D’altra parte la Conoscenza va oltre lo spazio, noi tutti siamo figli della stessa dimensione, perché la Conoscenza non è qualcosa che esiste qui o là o che puoi trovare qui o là, la Conoscenza è come il sole sta lassù ed è per tutti. Diversi Swami mi hanno invitato ad andare in India a visitare i loro asram, anche Samkaramaths mi ha invitato ed ho detto ci andrò.

D: Visto che in questa vita non c’è stata alcuna ricerca potrebbe dire che lei è nato realizzato? 

R: Questo particolare stato di coscienza non ha un ego che possa dire “io sono un realizzato”, sono gli altri che possono definirmi come un realizzato o non-realizzato. Quando ero molto giovane i fratelli e le sorelle sul sentiero continuavano a dire che ero nato vecchio, invece io pensavo di essere molto normale, secondo me ero come chiunque altro. Altre persone dicevano “tu sei un filosofo” e io rispondevo “non credo, sto solo dicendo le cose che sento di dire”. Tutto è così bello! 

D: Quando e perché sono nati l’Asram Vidya e l’Academia Ordo-Rael ? Quale è la loro funzione?

R: Prima di tutto dobbiamo fare una distinzione tra l’Asram Vidya che fu fondata a Roma e che ora è la sede della Casa Editrice e questo particolare luogo che è l’Academia. Dobbiamo fare una distinzione perché è possibile che siate a conoscenza del fatto che nella Tradizione ci sono quattro differenti stadi di vita, i primi due stadi sono il discepolo-studente, quello che sta imparando qualcosa sul sentiero e il cosiddetto capo famiglia o la persona che ha ogni genere di responsabilità, questi due stadi di vita devono essere portati avanti nel mondo e per il mondo. Non possiamo fuggire dal mondo, il mondo deve essere integrato,questo per evitare qualsiasi evasione dalla realtà, fughe psicologiche e così via. Gli altri due stadi sono quelli dell’eremita e del samnyasin o rinunciatario.

I primi due stadi di vita sono quelli che abbiamo seguito a Roma nell’Asram Vidya, gli ultimi due stadi sono quelli che portiamo avanti qui, perchè essere un eremita o un rinunciatario è più difficile da conseguire in città e quindi di solito vivono in campagna o in montagna e nel silenzio. Quanto agli ultimi stadi di vita lo stadio dell’eremita rappresenta un ritorno dentro se stessi, in sanscrito uparati, questo porta al silenzio, alla concentrazione interiore e alla contemplazione. 

Lo stadio del samnyasin è rinuncia totale persino al proprio corpo fisico, se il corpo stesse per andarsene, non ci sarebbe alcun problema. Questa rinuncia, comunque, è dovuta al fatto che il proprio stato di coscienza si è elevato a tali livelli che non c’è più nessuna connessione con il mondo dei nomi e delle forme. In aggiunta, questa particolare Academia non fu fondata perché c’era un certo specifico desiderio da parte mia ma piuttosto perché potessimo ricevere la possibilità di ancorare certi principi su questo livello, vale a dire un influsso del livello metafisico e cioè dei Grandi Misteri o Paravidya. Ciò che Samkara cercò di fare con i quattro Maths e che Plotino cercò di fare con la Città dei Filosofi, noi ora cerchiamo di farlo qui con grande modestia. (Mostrando un libro) Questi sono i principali quattro Maths di Samkara ma ce ne sono anche altri. Questo è per dare la possibilità alla Tradizione di essere perpetuata e di continuare. E, dopo 1200 anni, questa Tradizione è ancora viva. E’ di grandissima importanza il fatto di perpetuare la Tradizione perché se la Tradizione non dovesse esistere più tutta l’umanità sarebbe lasciata orfana. 

Se ora siamo in grado di seguire questi insegnamenti è perché Samkara scrisse i cosidetti testi sacri , questo ci dà la possibilità di non avere alcuna illusione e procedere con la nostra auto-realizzazione. Queste sacre scritture o testi sacri devono essere curati da qualcuno in modo che possano continuare nel tempo ed essere perpetuati. E’ molto importante che i guru indiani vengano in Occidente e parlino dell’Advaita Vedanta ma è altrettanto importante avere le sacre scritture con le quali confrontare cosa viene detto. 

 E’ molto importante comprendere questi piani d’azione, in realtà, sono un solo piano d’azione: deve esserci l’insegnante, ma devono esserci anche le scritture. Se dovessimo perdere tutto ciò che esiste nei libri sacri, quali i Veda e le Upanishads, i Darshana e così via, cadremmo nell’ignoranza, questo è qualcosa di molto importante, credo che l’abbiate compreso. 

D: Le persone che vivono qui dedicano la loro vita allo studio dei testi tradizionali e alla loro applicazione? 

R: E naturalmente alla realizzazione del Sé. Qui abbiamo alcuni residenti stabili e a parte questo ci sono moltissime persone che vengono dall’Italia e dall’estero per incontrarmi, per avere qui un certo tipo di esperienza. C’è un altro tipo di esperienza molto speciale che la gente può avere qui, perché come potete vedere trovate sia uomini che donne che vivono accanto l’un l’altro. Molti guru dell’India li disapproverebbero, ma poiché noi guardiamo ai Grandi Misteri o Paravidya, presumiamo che la gente che viene qui e ancor di più le persone che risiedono qui abbiamo un “idoneo stato di coscienza”, infatti nulla di speciale è mai accaduto qui! Molte persone che risiedono qui quando vennero erano molto giovani, ora anche se li guardate non ci farebbero caso e naturalmente non creerebbero alcun problema. 

Ci sono parecchi gruppi qui in Italia che seguono il mio insegnamento e che hanno fondato loro stessi dei gruppi. Alcuni di essi sono qui e potete incontrarne alcuni che vengono dalla Sicilia, dalla Calabria, dal centro Italia (Marche) e dal nord (Piemonte). Questi gruppi periodicamente vengono per fare le loro esperienze e possono anche ricevere l’insegnamento. La relazione che ho con queste persone o con questi gruppi non è quella di un guru con i suoi discepoli ma è una relazione come quella dell’Acharya che è una relazione basata sul dialogo affinché possa stabilirsi una totale capacità di intendersi, un totale accordo tra due esseri, allora avviene lo svelamento di ciò che si è realmente. 

Quindi, io non dirò mai alle persone che vengono qui “devi fare questo” o “non fare quello, per questa o per quella ragione”. No, questo non è il genere di relazione che ho con i miei figli o con gli esseri che vengono qui. Poiché ho integrato dentro di me tutti i diversi rami della Tradizione, posso a secondo della persona che è davanti a me offrire quel particolare tipo di insegnamento, quello che è più adatto alla persona. Esprimerò o presenterò quindi una visione generale di come la vita dovrebbe essere e poi permetterò alla persona totale libertà di manifestare o fare sua questa visione. Se ci sono particolari condizioni che creano ostacoli alla realizzazione di questa visione, la sola cosa da fare è parlarne e vedere perché ci sono questi ostacoli e che cosa farne. 

Quanto alle Tradizioni, il fatto che io abbia il dono dei diversi linguaggi, è qualcosa che lascia le persone un po’ stupefatte, molto sorprese, perché la maggior parte dei discepoli quando cercano un Maestro si aspettano che il Maestro sia Quello e niente altro: così egli è o Buddista o Cabalista o qualcosa di specifico e null’altro. 

Talvolta mi chiedono: “a quale corrente appartiene? E’ lei un Indù? E’ Lei dell’Advaita Vedanta? E io rispondo: “no, non sono nemmeno quello”. “E’ lei un Cabalista, ha scritto libri sulla Qabbalah?” E questo li disorienta completamente! (ridendo). Così generalmente provo a chiedere alla persona: “Che cosa cerchi? Che direzione hai nella vita? A quale punto posso venire verso di te e possiamo aiutarci l’un l’altro?”. Così trovo che è molto difficile quando qualcuno parla di me e dice che io sono un esperto di Vedanta, sento che mi viene da ridere perché questo non è ciò che penso di essere. 

Ci deve essere uno stato di coscienza che integri tutte le diverse possibilità e opportunità, anche se sei fuori da queste correnti, perché questo stato di coscienza non si identifica con alcuno dei diversi sentieri. Questa è la grande difficoltà che ho nel rispondere a specifiche domande. Se qualcuno mi chiede: “ha seguito un particolare sentiero?” La mia sola risposta potrebbe essere: “si, li ho seguiti tutti”. 

D: Che cosa ha luogo qui? 

R: Qui abbiamo un tempio ma è sbagliato chiamare questa costruzione un tempio perché l’intero composto è un tempio. La gente che risiede qui medita nella stanza accanto. Ci sono particolari circostanze per le quali non è consigliato a tutti di meditare tre volte al giorno (e il Mercoledì molto di più) perché potrebbero non sostenere questo tipo di meditazione e quindi è una buona cosa per i non residenti meditare nelle proprie celle – le quali sono anch’esse templi – secondo la propria scelta. Voi per esempio, molto probabilmente avete il vostro proprio guru che vi ha dato tecniche speciali o una meditazione particolare, modi di meditare e così via e quindi è una buona cosa non disturbare il vostro modo di meditare. Non mi aspetto che la gente segua le nostre tecniche o il nostro modo di meditare e così via e quindi è una buona cosa per voi meditare secondo ciò che sapete e come siete stati istruiti, e voi potete farlo nella vostra cella. Non è quindi una questione di essere esclusivi ma piuttosto di dare ad ognuno una opportunità e la libertà. 

D: Qui sentiamo un silenzio molto profondo e molto rispetto per esso. Perché è importante stare nel silenzio? 

R: Abbiamo già detto che il terzo stadio di vita inizia con il ritorno in se stessi. Nell’Asram a Roma c’erano molti dialoghi, conferenze e ognuno poteva esprimere il proprio punto di vista, invece qui presupponiamo almeno che queste esperienze siano state integrate, diciamo che a quel livello la loro comprensione sia stata integrata. Durante i primi due stadi di vita è stato più che giusto per le persone dire ogni cosa, esprimere il loro punto di vista, avere un dialogo e qualcuno che li ascoltasse e così via.

Il mio lavoro è cercare di far si che la gente comprenda che anche in Occidente c’è un sentiero metafisico che concerne i Grandi Misteri, ieri parlavamo dell’Unità della Verità. Uno dei miei compiti è quello di portare nuovamente qualcosa alla luce – naturalmente non c’è nulla di nuovo tutto è già stato detto – per avere anche la ricomparsa della Filosofia tradizionale occidentale che è parte dei Grandi Misteri. 

Ci sono alcuni occidentali che credono che la Verità appartenga solo all’Oriente ma questo non è vero perché anche in Occidente abbiamo una Tradizione, tutto quello che dobbiamo fare è permetterle di manifestarsi. Plotino per esempio fu un grande realizzato, fu un mistico ed un filosofo e volle dare alla Tradizione la possibilità di essere, di riapparire, di riemergere e volle creare la Città o Cittadella dei filosofi ma in termini tradizionali. 

Al tempo dell’imperatore Gallieno, Plotino fu uno degli insegnanti del figlio dell’imperatore ma sfortunatamente a causa dei problemi di corte non gli fu permesso di proseguire con l’idea di creare una Cittadella dei filosofi a sud di Napoli. Platone, per esempio, volle fondare in Sicilia (al tempo la Magna Grecia) la “Politeia” e cioè la Repubblica. Spesso viaggiò dalla Grecia alla Sicilia per portare la visione di uno Stato basato sulla giustizia e sull’ordine , per ordine egli intese che fosse commisurato con i piani più alti, con i piani universali. 

Anche Pitagora ebbe questo tipo di Scuola in Calabria che durò per lungo tempo e anche lui fondò parecchi gruppi. Quindi, naturalmente, la Tradizione seguita da Platone, Plotino e Pitagora esiste anche in Italia e in Occidente. Questo è per permettervi di comprendere che purtroppo in Occidente la Tradizione è stata più della natura dello kshatriya, del guerriero, più che essere contemplativa, e naturalmente con il Cristianesimo tutto ciò fu completamente cancellato. 

Plotino era solito affermare che si vergognava di stare in un corpo fisico, io direi la stessa cosa (ridendo). A Plotino non piaceva che la gente lo ritraesse e quindi rimase nascosto per tutto il tempo. Così uno dei suoi discepoli Amelio chiese ad un artista di venire dalla Grecia e la sola immagine che abbiamo è questa qui (Raphael mostra la copertina del libro) che fu qualcosa che quest’uomo imparò a memoria e dipinse in seguito, l’immagine è di lui insieme al suo discepolo Porfirio, questa immagine è dovuta alla memoria di un pittore! 

D: Sembra che molti occidentali siano più attratti dall’India e dall’Advaita Vedanta, infatti sembrano dargli più valore. Perché ne sono così attratti? 

R: Ci sono stati due eventi principali, il primo fu il Cristianesimo che volutamente cercò di oscurare la filosofia occidentale, solo il Cristianesimo ha i Piccoli Misteri e non i Grandi Misteri. L’Islam ha il Sufismo che è già di un ordine più grande e contiene i Grandi Misteri. La Torah il vecchio Testamento ha una parte esoterica che è la Qabbalah, il Cristianesimo non ha questo livello metafisico e questa visione dei Grandi Misteri. L’altra ragione è che l’Occidente è principalmente positivista e materialista e quindi vede ogni cosa in termini di materialità e ha interpretato la filosofia in un modo positivista e materialista. Questi due eventi gradualmente hanno oscurato i Grandi Misteri e la maggior parte della filosofia occidentale. Sebbene Platone, Plotino e Parmenide abbiano parlatmolto chiaramente, oggi i filosofi non accettano che Platone sia stato un grande realizzato, queste persone sono considerate solamente come dei grandi filosofi discorsivi. 

In Sicilia c’è un gruppo che è stato fondato sotto la mia direzione e che è principalmente centrato su Platone. Voi avete incontrato il coordinatore di questo gruppo, egli è il coordinatore di questo specifico gruppo platonico e dei diversi gruppi che abbiamo in Sicilia. C’è anche un gruppo che ha a che fare con la politica e che si ispira alla “Politeia” che è “la Repubblica e le leggi” scritte da Platone. Un paio di anni fa abbiamo avuto una ragazza che divenne sindaco di una piccola città in Sicilia e che cercò di seguire i decreti di Platone. 

D. Sente che nei testi tradizionali greci si parla delle stesse cose dell’Advaita Vedanta? 

R. Quando parliamo dell’Advaita Vedanta parliamo dei tre stati dell’Essere più un quarto il Nirguna, l’Assoluto che è oltre la manifestazione. Platone dice esattamente la stessa cosa, Platone parla del mondo dell’Essere che è esattamente come lo stato dell’Essere di Isvara nell’Advaita Vedanta. Platone parla anche dell’ “Uno-Uno” che è oltre l’Essere che corrisponde al Nirguna dell’Advaita Vedanta. L’albero Sephirotico (Qabbalah) ha tre differenti livelli, esattamente come le altre due Tradizioni più uno che è chiamato Ain-Soph, il quale è oltre la manifestazione. 

Ho cercato di far capire alla gente che tutti i diversi rami della Tradizione conducono esattamente alla stessa conclusione, che c’è qualcosa che è oltre la manifestazione e che c’è solamente l’Unità, anche Parmenide dice esattamente la stessa cosa. L’insegnamento di Parmenide è un insegnamento molto sintetico perché non ci sono rimaste molte cose di lui, ma ciò che è rimasto dice esattamente le stesse cose di Gaudapada e Samkara. Parmenide dice: “l’Essere è e non diviene e perciò è una Realtà assoluta. La manifestazione non è altro che un’apparizione, appare all’orizzonte e scompare.” Questo è esattamente lo stesso concetto della maya nel Vedanta. 

D. Quando pensa a se stesso o quando dice “io” , che concetto ha di se stesso? A che cosa si riferisce questo “io”? 

R. Prima dicevamo che Raphael è uno stato di coscienza. Uno stato di coscienza non può dire “io sono questo”,“io sono quello”, “io sono realizzato”, “io non sono realizzato”. Uno stato di coscienza è totalmente impersonale. Abbiamo un ego o un “io” ogni qualvolta c’è un’identificazione del riflesso di Coscienza con il corpo fisico che dice “io sono questo”. Questo “io” dirà “io sono il corpo” , “io sento” “io sono le emozioni”, “io sono il pensiero”.

In Francia abbiamo Cartesio con il famosissimo assioma “io penso, perciò sono”, “io ho dubbi, perciò sono”. La Tradizione va totalmente all’opposto di questo punto di vista, essa lo ribalta: “io sono, perciò penso” e non “io penso, perciò sono”. Cartesio scambia la causa per l’effetto e questo ha creato non poche divisioni in Occidente, anche se Cartesio credeva in Dio. Se vi identificate con un veicolo perdete la vostra identità totale. Questo è il mito di Narciso. Narciso era quello che specchiandosi nell’acqua vide la sua immagine, si innamorò della sua immagine, cadde nell’acqua e perciò morì. 

Anche in Occidente abbiamo questi simboli molto significativi che sono molto importanti dal punto di vista della Realizzazione. Anche la parabola del “figliuol prodigo” che si allontanò dal padre, perciò dall’Unità, va nel mondo fa molte esperienze, anche moltissime esperienze negative e poi ritorna dal padre e perciò all’Unità, ha un profondo significato tradizionale. 

Nel Vivekacudamani di Samkara che è un libro molto interessante sulla relazione fra Istruttore e discepolo, il discepolo cerca dal suo Maestro la realizzazione finale che è la realizzazione del Brahaman. L’Istruttore inizia dicendo “Non sei il corpo fisico, non sei il corpo emotivo, né il corpo mentale, non sei il corpo super-conscio che è il corpo della buddhi e non sei nemmeno il corpo causale”. Allora il discepolo si impaurisce un po’ perché se “io non sono questo, non sono quello e non sono l’altro, dove è la fine di questo?” Il Maestro permette allora al discepolo di comprendere che c’è una sola ultima Verità e Essa non ha nulla a che fare con i veicoli perché tutti i veicoli hanno appena il tempo di apparire che già sono andati via, sono già morti. Naturalmente è molto difficile essere distaccati dai veicoli o perdere l’identificazione con i veicoli. Il Vedanta dice “tu non sei questo, tu sei Quello” “Tat twam asi”. 

Sembra molto semplice, ma purtroppo è molto difficile da realizzare, e questo è dovuto al fatto che c’è un inconscio collettivo che ci risucchia al livello delle forme. Se osservate dal punto di vista dell’ “Uno-senza-secondo”, tutto ciò che avviene è al suo giusto posto, secondo il movimento dei guna e l’identificazione dell’ego con questo o quello, può solamente dare origine a quello che sta accadendo ora. Un sentiero che ha che fare con i Grandi Misteri conduce alla pacificazione del cuore. 

Qui spesso diciamo “Chiunque abbia compreso tutto questo vive in un silenzio onnipervadente e dona amore. Gaudapada, nell’Asparsa Yoga, dice che “questo yoga è lo yoga della non-opposizione”, ma questa non è una questione di emozioni o sentimenti, questo è il risultato della Conoscenza e della comprensione che ogni cosa in un dato tempo e spazio è al suo giusto posto. Ho incontrato persone che hanno davvero sofferto molto, ho provato a indicare a queste persone il sentiero che conduce alla beatitudine ma non hanno voluto seguire quel sentiero, possiamo dire che l’umanità è masochista. 

D. Sembra essere un aspetto molto forte dell’io, quello di mantenersi al suo posto a dispetto di qualsiasi cosa che viene a cercare di farlo a pezzi. 

R: Si, questo è il potere dell’ego, sebbene l’ego non sia una Realtà assoluta. Qualcuno potrebbe dire “in questo momento sono felice” e poi può sopraggiungere qualche genere di notizie tristi e negative e quindi dice “sono infelice”. Allora gli dico “non capisco veramente che sta succedendo, hai appena detto che eri felice e ora non lo sei. Quanti ego hai?” Ma ora anche nella psicologia sappiamo che c’è un ego sociale o un “io” che è solamente usato in ufficio o tra gli amici, un “io” che è usato in famiglia con il marito o la moglie e così via; quindi possiamo dire che l’ego è un camaleonte. Ma nonostante tutto ciò, la maggioranza delle persone si attacca a questo ego e permette la sua perpetuazione nel tempo. L’ego è causa di conflitto perché crea la dualità ego e non-ego. 

D: Allora perché la gente fa questo? Perché accade? 

R: E’ una possibilità di vita, un modo di vita. Perché, vedete, ci sono diverse possibilità che vengono concesse all’essere umano. Un essere umano può pensare e identificarsi ma può anche pensare senza identificarsi, non è qualcosa che è proibito, questo può essere fatto. La persona potrebbe persino non pensare affatto, gli è permesso anche quello. Questa è la libertà dell’Essere perché noi siamo i figli dell’Essere e perciò facciamo parte di quella libertà. 

Tra tutte le possibilità di scelta, naturalmente egli può scegliere quella che più gli piace e desidera, è ovvio che secondo la sua scelta e la direzione che l’ego prende, ci sono effetti diversi. L’identificazione prende posto gradualmente. 

D: Lei parla di risveglio come “fermare il movimento del jiva”. A cosa si riferisce il jiva e che cosa significa esattamente questa affermazione? 

R: Possiamo parlare in termini occidentali o orientali, ma anche il Cristianesimo parla del corpo, dell’anima e dello Spirito. Platone parla di soma, psyche e pneuma. Il Vedanta parla di un corpo fisico denso o corpo grossolano, il jiva, che è un riflesso dell’atman e l’atman corrisponde allo Spirito puro. Secondo il Vedanta , l’atman è un riflesso della Realtà assoluta, del piano metafisico. Quindi il jiva è la fase intermedia tra il livello fisico grossolano che include la mente, i sentimenti e così via e lo Spirito puro. 

L’anima, secondo Platone, ma anche secondo il Vedanta, può essere diretta o verso il corpo o verso lo Spirito puro. Se si identifica con il mondo sensibile, per usare le parole di Platone, inevitabilmente si avranno certi effetti, se invece si rivolge verso la controparte divina che è il livello metafisico si avranno effetti diversi. Quindi, è importante fermare questo movimento verso il basso e dirigerlo verso la trascendenza. 

Questo terzo stadio di vita che viviamo qui come eremiti è quello che ha a che fare con l’evitare il movimento dell’anima verso il mondo esterno e l’identificazione con quel mondo; l’eremita cerca di identificarsi con qualcosa che non ha niente a che fare con le emozioni, le sensazioni e così via ma con la propria trascendenza. In altre parole è un ritorno dentro se stessi. 

In termini sanscriti questo è uparati, questo è un rivolgersi all’interno e un distacco dai veicoli e da qualsiasi cosa che ci circonda. Platone parla di periagoge che è un distacco da tutte le cose del mondo, ma naturalmente questo non avviene a causa di una evasione dalla realtà ma a causa di una integrazione. Quindi vedete, diciamo esattamente le stesse cose, la Tradizione è una e solo una, tutti i differenti rami della Tradizione appartengono a Quello.

D: Nel suo libro “Il Sentiero della Non-Dualità” lei dice: l’Uno può essere conosciuto solo per un atto d’ “ Identità”. Che significa questo? 

R: Secondo Platone e la filosofia greca, esistono diversi gradi di conoscenza e questo è anche nel Vedanta. Il primo livello di conoscenza è possibile grazie alle nostre sensazioni e sentimenti, per esempio gli animali attraverso le loro sensazioni conoscono e comprendono e perciò abbiamo una conoscenza attraverso le sensazioni. Anche gli esseri umani a livello istintuale funzionano secondo le loro sensazioni e quindi abbiamo la cosiddetta conoscenza empirica, quella che è trasmessa alla mente dai sensi. 

Questa è un tipo di conoscenza duale perché abbiamo un soggetto e un oggetto. Così in termini sanscriti abbiamo il manas e in greco dianoia, ma è esattamente la stessa cosa. La scienza, per esempio, fa molto affidamento sul manas perché deve scoprire tutte le diverse leggi che hanno a che fare con i fenomeni, il mondo fenomenico, e questo va bene perché per conoscere i diversi fenomeni abbiamo bisogno di usare il manas, la mente, che ha la sua importanza. Anche qui abbiamo una conoscenza che ha a che fare con il soggetto-oggetto, è un soggetto che conosce un oggetto. 

Se andiamo dentro più in profondità ci rendiamo conto che questa conoscenza dualistica non ha più la sua “ragione di essere” perché come ci portiamo più in alto tutta la molteplicità diviene Unità o l’Uno; scopriamo che non c’è nulla da conoscere che è fuori di se stessi. A questo punto, in termini umani, possiamo parlare di una Conoscenza per Identità perché “Io sono ciò che sono” senza secondo, poiché il soggetto e l’oggetto sono stati integrati in quell’Uno che esiste e non diviene. 

Quando un discepolo scopre che è la mente che crea la dualità tra soggetto e oggetto, può accostarsi a questo tipo di Conoscenza e realizzare che c’è un solo Essere al di là di tutto questo genere di movimento. Ecco perché è impossibile conseguire la Realizzazione a livello del manas, perchè il manas proietta un Dio o una Divinità fuori di se stessi. Sant’Agostino dice “Dio è dentro di noi” e Gesù Cristo dice “il Regno dei Cieli è dentro di noi”, sono i preti che dicono che tutto ciò è fuori di voi. A questo punto si diventa la Conoscenza e il soggetto e l’oggetto scompaiono. 

In termini sanscriti noi parliamo di Sat-Cit-Ananda che è l’Unità, l’Uno. Cit è entrambi Conoscenza e Coscienza e i due sono uno. In Occidente abbiamo creato una distinzione tra Conoscenza e Coscienza e ne abbiamo fatto due cose diverse da una, invece sia in termini orientali che occidentali abbiamo Cit o Gnosis che vuol dire una Conoscenza non-duale. In Occidente abbiamo una mente più che empirica e vorremmo comprendere il livello dell’Assoluto mediante la mente empirica che è una mente relativa. C’è un nostro fratello che ha un manas molto forte e che vorrebbe comprendere l’Assoluto mediante la mente. Non è che si deve sopprimere la mente, la mente è un veicolo, uno strumento come tutti gli altri, è importante comprendere il suo giusto valore ma per conoscere qualcosa che è oltre se stessi dobbiamo arrenderci. 

D: Qui avvengono due cose: si vuole la liberazione e si vuole comprendere e forse arrendersi, ma nello stesso tempo parte di questo processo deve avvenire da solo, non lo puoi veramente causare anche se lo si conosce. 

R: Noi abbiamo il discernimento e poco a poco attraverso l’Insegnamento riusciamo ad afferrare la Realtà, spesso porto l’esempio di colui che mette il dito sul fuoco. A causa del tamas dell’inconscio collettivo abbiamo il desiderio di fare esperienze che è come mettere il dito sul fuoco. Supponete che una persona venga da me e gli spiego tutte le ragioni per cui se mette il dito sul fuoco si brucia: questa persona può realizzare questo immediatamente e quindi non passare attraverso l’esperienza oppure mettere ancora il dito sul fuoco e quindi bruciarsi. Poi in seguito viene da me e dice “mi sono bruciato, che cosa devo fare per evitare di bruciarmi? Io gli dico “ bene, forse non hai compreso, se vuoi te lo spiego ancora una volta”. 

Il mondo dell’ego crea questo genere di dualità. Crea gioia e dolore, conflitto e così via. Posso indicare la strada che conduce alla soluzione di questo genere di conflitto ma se la persona va via e mette ancora il dito sul fuoco, nel mondo della dualità, del conflitto, del dolore ecc., naturalmente si brucerà di nuovo. Ora, se lui lo vuole posso spiegargli tutte le ragioni per cui è stato costretto a rifarlo. Se non si instaura un dialogo tra due menti ma piuttosto tra un Maestro, o uno stato di coscienza che è al di là di tutto questo e un discepolo, attraverso questo dialogo c’è la possibilità per questo stato di coscienza di penetrare il discepolo o la Coscienza dell'altra persona e la possibilità è che una vera comprensione emergerà in questa persona senza sforzo. 

Il rapporto tra un Maestro e un discepolo è qualcosa davvero straordinaria e bellissima perché è un rapporto tra qualcuno che si concede, che dà se stesso, che si dona e qualcuno che è là per aprirsi, per ricevere ciò che viene dato fino ad un punto in cui non c’è distinzione tra i due e i due divengono uno, ma talvolta è difficile arrivare a questo livello perché c’è una certa resistenza da parte del discepolo. 

Possiamo identificarci con certi contenuti psicologici, con il manas, con altre esperienze e così via. Lo stato di coscienza di un essere realizzato non è altro che la possibilità di toccare un altro stato di coscienza che non è ancora risvegliato, ma allo stato potenziale tutti noi siamo Quello. Più che parlare di un “essere realizzato”, preferisco parlare di un “fratello maggiore”. 

C’è un solo Maestro, e quello è Shiva. Quindi questo “fratello maggiore” deve toccare lo stato di coscienza dell'altra persona e non i guna di questa persona. 

D: Questo si collega con la domanda seguente che è sugli esseri realizzati. Nel suo libro Tat Tvam Asi c’è la descrizione di un essere realizzato e ci chiedevamo se ha qualche consiglio da dare alle persone per aiutarle a discriminare tra un essere veramente realizzato e qualcuno che ha semplicemente coltivato certi poteri. 

R: Non è difficile vedere la differenza ma naturalmente è inevitabile che la persona che si sta chiedendo se l’essere che è davanti a lui è realizzato o no dovrebbe aver raggiunto un certo livello di discernimento. Viene detto che un essere realizzato può essere compreso solo da un altro essere realizzato (ridendo). Ma vedete, quando abbiamo parlato della Tradizione scritta, questa è molto importante perché possiamo confrontare con i testi tradizionali la persona che stiamo ascoltando e guardando. 

Diamo un esempio molto semplice che tutti conosciamo: il Vangelo. Qualcuno potrebbe avvicinarsi a me e dire “io ho realizzato questo stato che è spiegato nel Vangelo” e uno potrebbe dire “molto bene, però fammi andare a vedere che cosa Gesù Cristo ha veramente detto nel Vangelo”.

Per esempio l’occidente cristiano ha prodotto molte guerre ed ha effettivamente proposto e favorito la separazione tra le nazioni e così via. Quindi se sono sufficientemente intelligente vado a prendere il Vangelo e cercherò di capire se Cristo ha detto che questo é il modo di portare il suo insegnamento nel mondo. Cristo nel Vangelo dice: “amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”. E poi dice: “pregate Dio in modo che il sole possa splendere sul giusto e sull’ingiusto. Che cosa ne guadagnate se amate solo la gente che vi ama? Io vi dico: “amate la gente che non vi ama.” E così guardo intorno e potrei chiedermi se i preti hanno seguito tutto ciò, se hanno veramente realizzato tutto questo. 

Ci sono state guerre di religione, in Europa abbiamo avuto più guerre di religione che guerre politiche (ridendo) e Gesù dice: “ porgi l’altra guancia”. Quindi questo è il ruolo della Tradizione: il Vangelo è il mio specchio. Studiando il Vangelo posso dire “si, questa persona veramente segue il Vangelo, lo ha realizzato perché offre l’altra guancia e ama anche il suo nemico.” 

Possiamo dire la stessa cosa per l’Advaita Vedanta. Qualcuno potrebbe venire da me e dire: “ho realizzato lo stato dell’Uno- senza- secondo”. E noi diremmo: “ andiamo a vedere”. Se poi ci rendiamo conto che questa persona è un panteista o un nichilista, vado a controllare che cosa ha detto Samkara e possiamo facilmente vedere che le due cose non coincidono. Questa è la grande importanza della Tradizione. Solo in questo modo possiamo comprendere se quella persona è un essere realizzato oppure no. 

Dobbiamo stare molto attenti perché stiamo vivendo nel Kali-yuga e molte persone conoscono la Dottrina, non è difficile imparare cose dai libri ma viverle e realizzarle è una cosa completamente diversa. I soli modi e mezzi che un discepolo ha per vedere se una persona è realizzata o no è di andare a confrontare il suo comportamento con ciò che è scritto nei libri di Plotino, Gaudapada, Samkara e così via. 

 Ma c’è un altro aspetto: spesso i discepoli sono molto passivi ed è molto difficile per loro andare in profondità in questi insegnamenti spirituali. Molto spesso dico ai fratelli di andare avanti con le loro esperienze, di andare in India e visitare molti guru, ma poi alla fine devono trarre la loro sintesi e confrontare diversi testi in modo che veramente sappiano che cosa stanno facendo. Ho scritto diversi libri in cui si confrontano differenti sentieri, purtroppo non sono stati ancora tradotti in francese e in inglese. C’è un libro che ho scritto La Filosofia dell’Essere che dice: “ ci sono falsi maestri perché ci sono falsi discepoli (ridendo)”.

Se parliamo dell’Advaita Vedanta lo dobbiamo a Samkara e Gaudapada che lo hanno portato in manifestazione. Se qualcuno mi dice: “sono uno studioso di Platone” – perché persino oggi abbiamo scuole di platonismo e neo-platonismo – la giusta cosa da fare è andare direttamente ai suoi testi, così che io sappia che cosa disse Platone. Oggigiorno questi sono i soli mezzi rimasti ad un discepolo. 

In India nel passato, dove c’era una società tradizionale, era molto più facile, ma oggi non ci sono queste opportunità e mezzi, questo è il mondo dell’avidya. Gesù dice: “li riconoscerete dai frutti che danno” ma un discepolo deve essere intelligente e in grado di comprendere. 

 C’è da fare anche una distinzione tra una reale realizzazione di uno stato di coscienza e le siddhi. Le siddhi appartengono a prakriti, ai guna e perciò creano dualità mentre la Realizzazione è al di là delle siddhi e non c’è siddhi più alta della Realizzazione. I poteri hanno la loro ragione di essere ma dobbiamo sapere che essi appartengono ad un particolare piano e relegarli al loro giusto posto. 

D: Proprio prima di venire a vedere lei, una nostra amica stava attraversando una crisi. Intellettualmente sapeva che avrebbe dovuto arrendersi e lasciar essere le cose ma le sue emozioni andavano in un'altra direzione e le impedivano di lasciarsi andare. Quindi, la domanda è: come conciliare ragione, emozioni e sentimenti? 

R: In questo caso abbiamo una identificazione con il corpo emotivo e questa identificazione è così forte che non le permette di lasciarsi andare, di arrendersi. Si tratta di rieducare entrambi, le emozioni che sono così forti e la ragione che non ha la capacità di strapparsi via da esse. La sua posizione dovrebbe essere tale da essere in grado di comprendere anche con il manas, con la mente, che può porsi al di là di questo stato, oltre le emozioni e la ragione.

Naturalmente la condizione ideale sarebbe di venir fuori da tutta questa situazione e porsi in uno stato di silenzio, in questo caso avrebbe risolto tutti i suoi problemi ma purtroppo i sentimenti e le emozioni la frenano e quindi potrebbe trovarsi esattamente nel mezzo di una battaglia tra la coscienza razionale e le emozioni che stanno combattendosi reciprocamente, la sua coscienza è proprio nel mezzo di questo conflitto. 

D: Allora la migliore cosa per lei dovrebbe essere di porsi al di sopra di entrambi, non è vero? 

R: Si, questa sarebbe la soluzione totale, questa è già Realizzazione; tutto dipende dalle emozioni, se lei è abbastanza forte da sganciarsi da esse. Se avesse una visione, un certo tipo di conoscenza tradizionale ecc. potrebbe essere aiutata a creare una identità non con le sue emozioni ma con questa visione. 

D: Che cosa è la meditazione? E’ una tecnica per raggiungere qualche cosa e se è così che cosa? 

R: All’inizio la meditazione è estremamente importante, c’è la meditazione con un seme (un oggetto) o senza un seme. Per un principiante, la migliore cosa da fare è iniziare con un certo tipo di seme concreto, come per esempio un libro così che la mente della persona possa raggiungere una certa concentrazione e attenzione su quel particolare seme; poiché la mente ha la tendenza a vagabondare è molto difficile fermarla su una posizione. Quindi, la meditazione con un seme favorisce la concentrazione. Nello Yoga-Darshana che è il Raja-Yoga di Patanjali gli ultimi tre mezzi sono dharana, dhyana e samadhi, abbiamo quindi attenzione, concentrazione e meditazione su un seme, così che la mente possa concentrarsi su qualche cosa. Di solito la mente spreca molte delle sue energie, una mente che disperde le sue energie non può creare qualcosa di positivo, qualcosa di buono. Chiunque abbia raggiunto qualcosa di una certa importanza, perfino nel mondo esterno, deve avere in ogni caso una concentrazione molto forte. Uno scienziato o un matematico devono avere questo tipo di concentrazione per scoprire certe leggi. 

Naturalmente, quando la Coscienza riposa su se stessa e vive in se stessa e dentro se stessa, la meditazione non è più necessaria. Quindi, la meditazione è un mezzo molto potente, un mezzo estremamente potente che pone tutti i veicoli in uno stato di attenzione, di concentrazione. Naturalmente, ci sono diverse tecniche di meditazione ma non penso abbiamo il tempo di approfondirle adesso. 

D: Ieri le ho detto che avevo avuto bagliori della visione dell’Unità, ma che era qualcosa che non vivevo costantemente e lei mi ha risposto che era sufficiente riportarsi a quella visione. La mia domanda è: non è questo soltanto un ricordo, qualcosa di irreale? 

R: Naturalmente, non parliamo di una memoria psicologica alla quale risalire, però possiamo favorire questa visione, questo stato in cui ci trovavamo. Credo che tutti noi nella vita abbiamo realizzato un momento di Unità, che la vita è una, tutto quello che dobbiamo fare è stabilizzare l’esperienza che abbiamo avuto. Una soluzione viene offerta dal Vedanta che suggerisce di non guardare ad ogni cosa che ci circonda come “nome e forma” ma provare a cercare che cosa c’è al di là delle forme. Così, in questo preciso momento, guardando voi vedo i fili della Coscienza, i fili sono esattamente gli stessi sebbene siano coperti da forme diverse. Quindi possiamo dire che la differenza tra il modo in cui io guardo le cose e il modo in cui le guardate voi è che io vedo l’Unità della Coscienza. Noi in un certo qual modo ci fermiamo subito alla forma e manchiamo di vedere al di là del nome e della forma. 

D: Lei sente di essere dappertutto? 

R: Sì. Non c’è nè differenziazione né opposizione. Il bhakta, proprio per usare i termini Indù, ha bisogno di porre Isvara fuori di sé e di considerare Isvara come un “secondo”, in realtà Isvara è uno stato di coscienza che deve essere realizzato, Isvara o Dio è uno stato dell’Essere. A questo punto avete la possibilità di guardare sia con gli occhi della Coscienza che con gli occhi fisici, Platone parla di “Unità nella diversità”, questo significa che l’Unità è il sostrato dell’ “altruità”, della diversità. Questo è molto bello e molto importante. Se guardate con gli occhi dell’Unità non potete opporvi a nessuna cosa e a nessuno. 

 Voi potreste dire: ma la gente si comporta in un modo che non ha nulla a che fare con la visione dell’Unità. Sono consapevole di questo comportamento ma sono anche consapevole che queste persone che si comportano in un modo diverso sono espressione dell’Unità. 

Talvolta abbiamo situazioni che sono farsesche. Possiamo trovare fratelli e sorelle che vengono da me e dicono “sono questo, sono quello, sono un uomo, sono una donna, sono un dottore, sono un avvocato”. Guardo questa persona e dico ”ma tu non sei tutte queste cose di cui tu parli”. Molto probabilmente tutte queste persone che vengono da me si sono messe in mente di considerarsi come uomini, donne, dottori, avvocati e così via. 

Accettiamoli come credono di essere. Plotino dice che: “il mondo è un immenso palcoscenico in cui ognuno recita il proprio ruolo” e questo è ciò che tutti noi facciamo (ridendo). Mi rendo conto di tutto ciò ma sembra che tanti altri non riescano a comprenderlo. Ecco perché è difficile quando le persone vengono da me e dicono “Lei è un Maestro, Lei è un insegnante”. Un insegnante è già un ruolo e allora le persone dicono “bene, se Lei non è un Maestro posso anche andare via da qui”. 

D: Quindi osservare le cose come “nome e forma”, è qualcosa di mentale, un processo mentale sul quale occorre ricordarsi di lavorarci sopra? 

R: Naturalmente non puoi forzarti a fare questo ma devi favorire questo tipo di attitudine ad osservare le cose non come “nome e forma” ma come un aspetto della Coscienza che è al di là di “nomi e forme”. 

C’è un bellissimo esempio dato da Samkara che è pertinente a questo caso: abbiamo l’etere che è onnipervadente ed è l’Uno; parte di questa aria o etere è contenuta dentro un vaso e ci sono diversi vasi di ogni forma e dimensione, il vaso naturalmente può essere preso per intendere un essere umano, un albero o un animale ma l’etere che è racchiuso nei vasi è della stessa natura dell’etere libero fuori dei vasi. Quindi dovremmo avere la visione di essere tutti vasi e di avere questo corpo che è il nostro vaso ma all’interno dei diversi vasi c’è l’Uno. 

 La differenza è che esiste uno stato di coscienza che vede l’etere all’interno e fuori dei vasi ed altri invece vedono soltanto con gli occhi del vaso, nel qual caso un vaso è diverso dall’altro e questo dà origine a conflitto e anche a vanità perché con tutto rispetto “il mio vaso è meglio del tuo” (ridendo). 

Quindi se avete avuto questa esperienza, questo è qualcosa di molto vantaggioso per voi. Tornate indietro a quel momento in cui avete visto l’Unità e osservate ogni cosa con l’occhio di quella Unità e potrete vedere che l’Unità ha assunto diverse forme: un albero, un animale o una persona e così via – sarebbe saggio riprendere la visione dell’Uno. E’ molto importante tuttavia che il manas, la mente, non interferisca con questa visione iniziando aconcettualizzare. 

D: In quel momento ho avuto questa visione, non c’erano concetti, ma per me tornare indietro a quel momento diviene un concetto perché non è qualcosa che sta accadendo ora. 

R: Ma ora tu sei completamente cosciente del fatto che questo stato esiste perché è stata una esperienza diretta. Ora non puoi più concettualizzare. Quando qualcuno ti dice “osserva il mondo dei nomi e delle forme”, non puoi più concettualizzare perché sai cosa c’è al di là di esso.

D: Si, so che questa è la Realtà. La maggior parte della giornata ho a che fare con i concetti e sono ancora catturato da essi ma dentro di me so che questa non è la Realtà. 

R: In ogni caso, hai avuto l’esperienza di uno stato di coscienza senza concetti e perciò sai che la Realtà è al di là dei concetti. Quindi quello che puoi fare ora è fare una passeggiata qui intorno e osserva gli alberi, guarda ogni cosa che incontri e osserva ma non concettualizzare. 

Quando andiamo a fare una passeggiata automaticamente la nostra mente inizia a concettualizzare, non guarda solamente l’albero ma dice “questo albero è alto o basso, mi piace, non mi piace, è questo, quello ed altro”. Quindi ciò che devi fare è contemplare senza concettualizzare e piano piano questo può essere portato anche nella tua vita lavorativa perché è la tua Coscienza che ti dirige e non più i concetti. 

Per essere più specifici possiamo chiamarla “intuizione” proprio per darti una idea di ciò che accade. Alcune persone potrebbero dire “ma come posso continuare a vivere e a lavorare in questo modo? Ho bisogno di usare la mia mente, ho bisogno di fare questo”. 

Puoi farcela benissimo, sembra impossibile ma è del tutto facile. Difatti è estremamente facile, ho fatto tutto questo e posso fare tante cose: guido il trattore, taglio la legna, posso cucinare, mi occupo della pulizia del pavimento, pulisco i miei vestiti e faccio tutto ciò con la gioia nel cuore perché tutto ciò è molto bello. 

E’ molto importante per te coltivare nella vita questa visione dell’Unità perché è molto importante ciò attraverso cui sei passato, in termini vedantici questo sarebbe il Savikalpa Samadhi; questa è la possibilità di vedere l’Unità della vita mediante i tuoi occhi, attraverso gli occhi della Coscienza. 

D: Potrebbe spiegare quale è il ruolo dello yoga e delle sue diverse discipline? E’ necessario seguire uno yoga particolare? 

R: Ci sono diversi tipi di yoga, avete letto il libro “Essenza e scopo dello Yoga” che tratta dall’Hata Yoga all’Asparsa Yoga, che è l’Advaita Vedanta, il sentiero metafisico. 

Nei tempi antichi c’erano diversi gradini o passaggi per entrare in un sentiero più espanso e così allora c’era solamente un unico yoga con differenti possibilità e dimensioni ma tutti questi diversi tipi di yoga conducevano alla trascendenza, persino l’Hata Yoga. 

Oggi l’Hata Yoga in Occidente è soltanto una serie di esercizi che promette una buona salute e questo è tutto. Ma non c’è uno yoga che sia meglio di un altro yoga perché c’è un solo yoga. Naturalmente in Oriente la Tradizione è ancora viva e perciò può permettere alle diverse persone che si imbattono in essa di essere presi al proprio livello di preparazione, di guna e così via. 

In Occidente e in alcuni paesi, per i passati duemila anni non abbiamo avuto nient’altro che il Cristianesimo e perciò non abbiamo avuto nessuna scelta e nessuna possibilità di dare la giusta soluzione ad ogni singola persona, poiché ogni individuo è un mondo a sé . Invece l’Oriente ha una serie di opportunità che è molto più grande e soddisfa i bisogni di ciascuna persona a seconda dei suoi guna o qualità. 

Anche il Vedanta può essere definito come yoga, lo yoga della conoscenza. Nei libri che ho scritto ho cercato di non usare la parola “yoga” perché è stata degradata, purtroppo questo è ciò che succede ma questo genere di degradazione è inevitabile perché siamo nel Kali Yuga. Infatti se dicessimo alla gente “noi facciamo lo Yoga Vedanta” essi direbbero “allora facciamo ginnastica? Quali sono le posizioni? Dov’è la palestra?” (ridendo). 

D: Chiunque può decidere di risvegliarsi o accade spontaneamente senza alcuna preparazione? 

R: Naturalmente, il risveglio non può essere qualcosa che puoi ottenere con la volontà. Avviene da solo. Ma dobbiamo essere preparati a quando il risveglio avverrà, deve esserci quindi una certa preparazione al momento del risveglio. Anche nella nostra vita quotidiana, per esempio quando andiamo a scuola, studiamo tanto e poi tutte le cose che studiamo non servono per le nostre professioni ma questo tipo di addestramento ha preparato la nostra mente a un certo tipo di intuizione, a un miglior modo di comprendere le cose e così via e perciò la preparazione nei nostri studi è molto utile. Così la preparazione ci porterà ad accogliere il genere di evento che accadrà spontaneamente, da solo. Non può esserci alcuna forzatura, usare violenza su noi stessi è completamente inutile. 

D: In India parecchie volte abbiamo visto gente che va a trovare un Maestro e dice “rimarrò qui in India solamente alcune settimane, quindi per favore illuminami subito perché desidero viaggiare da ogni parte e andare a vedere anche il Taj Mahal prima di ritornare a casa”. 

R: (Ridendo) Magnifico! Questo avviene anche in Occidente, c’è tanta innocenza nel mondo. 

D: Che consiglio darebbe a qualcuno in cerca della Verità? 

R: Questa domanda non è molto facile (ridendo). Dare consigli a qualcuno è molto difficile. Naturalmente, se la persona sta veramente cercando la Verità, la cosa può essere vista. Ecco perché parliamo di un certo grado di maturità di una persona, di quando c’è un miglior controllo dei guna ecc.. A questo punto, naturalmente i consigli possono essere dati, il problema nasce quando qualcuno vive in uno stato di sofferenza e in uno stato di dualità e vuole risolvere i propri problemi ma vuole anche rimanere in quello stato di dualità. Quindi è molto difficile consigliare qualcuno che è identificato con questo stato di dualità. D’altra parte da un punto di visto filosofico possiamo dire che non c’è nulla oltre o al di fuori dell’Essere e prima o poi non possiamo che ritornare all’Essere.

Un Advaitin è pacificato, possiamo dire ha trovato la sua pace, non è spinto dal desiderio di cambiare questo o quello e questa è la ragione per cui egli non cerca discepoli o seguaci. La dualità è uno stato dell’esistenza che è stato integrato e quindi non c’è nessun desiderio di cambiamento. Naturalmente, l’Advaita è offerto a tutti ma non tutti vogliono pervenire a questa dimensione ma prima o poi la raggiungeranno perché ciascun individuo al mondo è Quello. Potrebbero pensare a se stessi come qualcosa di diverso ma essi sono Quello. Siamo tutti alienati perchè crediamo di essere ciò che non siamo. 

Per concludere con una nota allegra: dopo Napoleone ci furono parecchie persone che nella loro alienazione credevano di essere Napoleone, erano convinti di essere Napoleone e portavano cappelli sulle loro teste ma non erano Napoleone, in questa situazione tutto quello che possiamo fare è cercare di risvegliarli alla realtà che essi non sono Napoleone. 

La Conoscenza tradizionale ci dice che siamo tutti alienati, siamo identificati con i diversi vasi e ciascun vaso è diverso dall’altro vaso. Un Advaitin nota tutta la sofferenza del mondo ma nello stesso tempo vede che tutto questo è molto comico (ridendo) perché comprende che queste persone hanno soltanto dimenticato ciò che sono. 

Qualcuno potrebbe dire: “soffro” e la risposta potrebbe essere “no, tu non soffri”. “si, io soffro!”. Qualcuno altro potrebbe dire: “ora sto per morire” e la risposta è “ma tu non puoi morire, sei immortale”. Se questa persona è convinta che morirà che possiamo fare! 

Tutto ciò che possiamo fare è attendere che riconosca che è immortale e che non può in alcun modo morire. Quando lasceremo il nostro corpo fisico grossolano, la maggior parte di noi andrà nella parte inferiore di Taijasa, lo stato luminoso, in termini occidentali questo è il piano astrale. Alcuni materialisti quando raggiungono questo piano hanno difficoltà a comprendere che non sono morti. Alcuni discepoli si dedicano a lavorare su questo livello per cercare di rieducarli a credere che non sono morti. Poiché sono tanto convinti, dicono: “come posso non essere morto? Sono morto, devo essere morto”. Questa persona non si arrenderà all’evidenza che esiste, che parla e perciò vive in quest’altra dimensione. Io dico sempre che la vita che facciamo sul piano umano è “una tragicommedia a lieto fine”. 

D: Quali sono i principali ostacoli a vivere la Verità? E come si possono superare? 

R: Abbiamo già risposto a questa domanda dicendo che abbiamo questa identificazione con i guna. Quando andrai a fare una passeggiata e proverai a ritornare alla tua visione, dovrai verificare dentro di te “quale è l’ostacolo che mi impedisce di essere Quello? Quale veicolo subentra tra me e quella Realtà? E’ la mente o qualche contenuto psicologico che ho? Potrebbe essere il mondo dei sentimenti o il mondo delle emozioni? Potrebbe anche essere un idealismo, un pensiero?” Quindi, tutti questi potrebbero creare ostacoli ma non appena sono risolti, poiché questi problemi si auto-risolvono, Quello emerge da solo. 

In Oriente viene fatto un esempio molto significativo: abbiamo una stanza piena di oggetti, ci sono così tanti oggetti che potete muovervi a malapena, l’identificazione con i diversi oggetti non ci permette di vedere la stanza nella sua realtà. Oggi potrei identificarmi con il tavolo, domani con l’impianto di riscaldamento, il terzo giorno con un’altra cosa . 

Se prendo tutti questi oggetti e li getto via (naturalmente per gettarli via intendo l’integrazione di tutti questi oggetti) mi ritroverò in una stanza vuota e perciò in uno spazio libero. Io sono questo spazio libero e questo vuol dire che l’etere dentro il vaso è della stessa natura dell’etere all’esterno del vaso. Questi esempi o queste analogie possono essere di grande importanza nel comprendere la Realtà sottostante. 

D: Circa quattro anni fa, una sera ho cominciato a ripetere nella mia mente la frase “io sono Quello” e all’improvviso sono stato colpito dal fatto che l’ “io” che avevo assunto di essere non aveva nulla a che fare con Quello. Prima di questa presa di coscienza, ero solito pensare che l’ “io”, che è tutti questi concetti che io consideravo di essere, sarebbe diventato Quello per mezzo della Realizzazione. In quell’istante ho visto che Quello non aveva nulla a che fare con questi concetti; vedere questo è stato molto importante per me. 

R: Si, naturalmente non ha nulla a che fare con l’ego, l’ “io”. L’ “io” è una non-realtà ma questo è un errore che fanno tutti. 

D: Se viviamo in uno stato di completa spontaneità, abbiamo alcun controllo su ciò che accade nelle nostre vite? 

R: Deve essere la spontaneità dell’etere, quel tipo di spontaneità. Solo in quel caso puoi avere il controllo perché in questo caso è l’etere che si serve del vaso e non il vaso che si serve dell’etere. E l’etere è innocenza, è spontaneità. Questo è lila il gioco divino, il gioco di un bambino. Quindi dovremmo fare una chiara distinzione tra spontaneità in quanto spontaneità istintuale e la spontaneità dell’etere, che è una faccenda completamente diversa. E’ molto importante fare questa distinzione perché alcune persone sono molto istintive, emotive e perciò spontanee ma potrebbero causare grandi danni. Dalla posizione di Quello, questo non potrebbe mai succedere. L’innocenza di cui stiamo parlando è una cosa del tutto diversa. 

D: Può descrivere la sua propria natura? 

R: E’ proprio la vostra stessa natura. Ognuno di noi è etere onnipervadente, giusto per darvi questa idea che può essere del tutto illuminante. Non c’è alcuna differenza tra me e ciascuno di voi. Potrebbe esserci giusto questa differenza: una persona potrebbe essere identificata con uno dei suoi veicoli o con una delle esperienze che ha avuto mentre Raphael ha chiuso tutti i conti con le esperienze.